La questione della riapertura delle scuole prima (o dopo) le festività natalizie

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In questi ultimi tempi si sente sempre più insistentemente parlare della possibilità di riaprire presto le scuole in Italia, dopo il blocco disposto a causa dell’aumento di contagi da Coronavirus; nelle ultime ore, il premier Conte ha sottolineato che si cercherà di farlo prima delle vacanze di Natale. Ciò accade in un periodo in cui, molto timidamente, gli indici regionali Rt del contagio iniziano a ridimensionarsi, proprio grazie alle nuove cautele imposte da una lunga teoria di DPCM; queste, guarda caso, hanno interessato anche le scuole – a causa della concatenazione di rischi derivanti dal sovraffollamento sui mezzi di trasporto e dall’affluenza in entrata e in uscita correlata alle attività di didattica in presenza, che più volte – si è detto – andrebbe scaglionata.

Eppure, in un articolo su “Il Tempo” del 12 novembre (“Ecco i veri dati del Covid. Adesso chiudete le scuole”), Franco Bechis ha evidenziato come “La maggiore crescita dei contagi del virus da fine agosto ad oggi” sia stata “quella nella fascia di età da zero a 19 anni, e quindi nella popolazione scolastica (a cui andrebbero aggiunti ovviamente insegnanti e personale non docente)”. Secondo il bollettino settimanale dell’Istituto superiore di Sanità del 7 novembre, come riferisce Bechis, nella fascia scolastica fino a 19 anni sono stati riscontrati “102.419 contagi, che il 25 agosto erano soltanto 9.544. La crescita quindi è stata del 1.073,10%, la più alta assoluta nella popolazione italiana”. Dunque già la regolare apertura delle scuole avrebbe dato un contributo non indifferente al moltiplicarsi del contagio; inoltre, non sembra che le linee guida a suo tempo stabilite dal governo, siano state ripensate proprio a seguito del fenomeno epidemiologico ravvisato.

Si è anche detto che, proprio poiché il governo nazionale sta valutando la possibilità di riaprire negozi e ristoranti dal 4 dicembre per un paio di settimane (al fine di ridare una boccata d’ossigeno alle attività economiche – che nel periodo natalizio confidano per tentare di garantirsi una minima sopravvivenza in tempi di Covid) i tempi sarebbero altresì maturi per riaprire le scuole. L’associazione tra le due possibilità parrebbe non reggere: in queste settimane, il rischio per la salute dei cittadini, e quello di ingorgo delle terapie intensive, permangono ancora in modo evidente. Molti pronto soccorso non sono in grado di accogliere nuovi pazienti, Covid o non Covid. E’ troppo presto?

Ad ogni buon conto, chi volesse fare shopping o andare in un ristorante, potrebbe farlo liberamente (se le intenzioni del governo fossero confermate) ma a proprio rischio e pericolo. Invece, la riapertura degli istituti scolastici sarebbe un’imposizione, disponendo la frequenza di persona agli alunni, e una maggiore responsabilità per i genitori; questi ultimi, invero, sono responsabili proprio della tutela della salute dei minori, quale bene primario tra tutti i diritti fondamentali (art. 32 della Costituzione). Per non parlare del rischio di contagio di uno studente o un dipendente/insegnante infetto nel proprio nucleo familiare. Non si parla, dunque, di una decisione volontaria, ma dell’attribuzione di un rischio aggiuntivo, in un periodo in cui permane – in modo molto evidente – l’attuazione di moltissime cautele atte a scongiurare l’aggravarsi della pandemia, a dispetto delle linee guida che certo non possono contenere il rischio completamente.

Potrebbe il governo, nazionale o regionale, valutare la possibilità di conferire ai genitori – fino al recupero di una sostanziale normalità – la facoltà, e non l’obbligo di aderire o meno alla disposizione di ritorno a scuola per i propri figli? Il governatore della Puglia Emiliano lo ha fatto (suscitando le ire del governo nazionale): dovendo disporre la riapertura delle scuole ai primi di novembre 2020, a seguito di una sentenza del TAR di quella regione, ha emesso una nuova ordinanza che dispone la possibilità per le famiglie di scegliere se avvalersi della didattica in presenza o di quella digitale (“L’appello di Emiliano: “Non mandate i figli a scuola, scegliete la didattica digitale”). Ecco ripristinata, in questo caso, la volontarietà di aderire o meno ad una possibilità offerta ma non imposta dal governo centrale. Una siffatta opzione riuscirebbe probabilmente a mettere buona pace anche tra chi predilige la sicurezza della didattica a distanza e chi sostiene sacralità e irrinunciabilità della didattica in presenza: tutti troverebbero una propria ragion d’essere. Ecco l’esempio della soluzione adottata dalla Regione Puglia: “L’attuale ordinanza 413/2020, ai fini della riduzione del rischio di diffusione epidemica, consente infatti – per il primo ciclo di istruzione – la didattica integrata a distanza alle famiglie che ne facciano richiesta, precisando che agli studenti che hanno chiesto la didattica digitale integrata non può essere imposta la didattica in presenza, e che l’eventuale assenza deve sempre considerarsi giustificata”. Del resto, questa modalità di didattica mista – che produce in aggiunta il vantaggio di decongestionare l’accesso e la permanenza nelle scuole – viene già applicata ogni volta che si verifica il caso di alunni contagiati da Covid-19 o in quarantena, che seguono a distanza le lezioni erogate in presenza verso il resto della classe.

Molte volte si è sentito dire che le misure adottate nelle scuole siano sufficienti a garantire la tutela della salute di alunni, docenti e personale ATA: ma la notizia contrasta evidentemente i dati evidenziati da Bechis sul Tempo. Per quale motivo, nel momento in cui tutto un Paese concentra gli sforzi verso la diminuzione dei contagi, al fine di alleggerire il carico di lavoro nei nosocomi e traghettare la comunità verso il lido salvifico della vaccinazione anti-Covid (attesa per i primi mesi del 2021) sembra che ci siano ancora persone che vorrebbero allentare la guardia e ridare vitalità ad una delle cause di infezione? Né si ha notizia dell’incremento di mezzi pubblici – il cui coefficiente di riempimento è stato ridotto ulteriormente fino a un massimo del 50 per cento – a disposizione degli studenti e degli altri viaggiatori; inoltre lo scaglionamento più volte evocato, nei centri in cui le linee dei trasporti extraurbani registrano una o due corse al giorno, resta praticamente inattuabile.

Certo, il dibattito è aperto e in molti esprimono legittime opinioni su cosa, come e quando fare; ma pare che a nessuno interessi molto sapere di chi sarebbe la responsabilità civile o penale, in presenza del moltiplicarsi di casi di contagi scaturiti dall’inosservanza, anche occasionale, delle misure di contenimento imposte dalle linee guida, delle normative nazionali, regionali e locali la cui ignoranza, com’è noto, non giustifica. Dirigenti scolastici? Sindaci? Governatori? Sarà la magistratura, se e quando interessata, a giudicare. Negli Stati Uniti, intanto, nello scorso mese di luglio, il più grande sindacato di insegnanti della Florida ha intentato una causa contro il governatore DeSantis, perché la sua amministrazione avrebbe spinto per riaprire tutte le scuole, anche in presenza di un aumento dei casi di Coronavirus accertati.

In ogni caso, se è vero – com’è vero – che la distribuzione di vaccini anti-Covid sarebbe imminente tra le categorie più a rischio (e tra queste anche i docenti), varrebbe la pena ragionare sulle tempistiche da adottare per facilitare la migrazione ad una gestione del firmamento scolastico più rassicurante per tutti.

Angelo Tarantino